Parole pensierose

Meno venti

Sto cambiando.

Forse in parte già è successo, forse sto continuando a modellare linee di pensiero, linee soltanto. C’è l’emozione in ogni cosa che faccio, in ogni parola che scelgo, in ogni respiro trattenuto per cinque brevi secondi. Trattenere, sì, trattenere: non farlo spesso mi ha portata nella parte più nascosta, quella che detesto, quella che può farsi male e può fare peggio, quella che lo ha fatto e a volte ancora ci pensa.

Trattieni e mettiti in pausa, bastano davvero cinque secondi. Anche questo è cambiare.

Ho imparato a giocare con la pazienza, l’ho presa per mano, ci ho fatto lunghe passeggiate pensando sarebbe bastato. Invece no. Perché cambio, corro, mi arrabbio così forte da farmi venire mal di testa, quindi cerco la fatica altrove, menomale. Amo sentire il peso addosso, le pulsazioni che il cuore raggiunge sotto sforzo, il tamponamento di un pensiero momentaneo, vedere la forza nascosta uscire allo scoperto, oltrepassare i limiti che io stessa mi sono incollata addosso.

Oltrepassare, è questa la sensazione migliore assaporata negli ultimi mesi. Oltrepasso, ma non dimentico. Oltrepasso e mi rafforzo, sentendomi capace di tutto, anche quando tutto è crollato e a distanza sei ancora lì a raccogliere i cocci di quella polvere intinta nel calore di una caldaia che scricchiola.

Sai, a volte ho avuto così paura del mondo e del mio stesso riflesso da non sentire più nulla dentro. Il vuoto, quella sensazione concava impossibile da riempire nonostante le mille possibilità, nonostante i mille colori ancora disponibili, nonostante i profumi tutti attorno, l’ossigeno ancora in bilico.

Il vuoto. Ed è il vuoto che ti cambia, ed è proprio il vuoto che mi ha cambiata e ancora ogni tanto agisce. Lo prendo come amico, a volte persino come fedele alleato nei momenti peggiori: chi ha detto che un vuoto debba per forza essere sinonimo di apatia disconnessa? Chi ha deciso che quella concava sensazione abbia lo scopo di distruggere? Con il vuoto dentro mi sono guardata così tante volte, mi sono fatta la guerra, mi sono spogliata dolcemente e mi sono affacciata, nuda, ai confini del mio stesso mondo, tra il disegno di una perdita e la conquista di una consapevolezza in più.

Ecco perché cambio, ecco perché non rimango mai uguale a me stessa troppo a lungo. Mi annoia la noia di una sensazione, mi appesantisce il troppo buio ma a volte mi affatica la troppa luce.

Dell’aria che riempie ne ho necessità, della leggerezza di un momento, la calamita.

Non sono mai stata uguale a me stessa, figuriamoci al resto delle anime che abitano questo caos che ancora ci ostiniamo a chiamare mondo. Attratta da sempre dalla profondità a volte mi diverte perdermi in superficie e ballare attraverso colori che non m’appartengono. A volte, cambiare. A volte, sperimentare.

Strana, ermetica, capace di affossarsi su un pensiero per mesi, su una mancanza per una vita. Mi è successo proprio in questo periodo, un anno fa, e ancora oggi ne porto le cicatrici, sebbene abbiano assunto una nota differente. Controllare, anche questa è una conquista nuda davanti alla vita.

E io cambio, mi cullo, mi perdo e mi ritrovo alternativamente: l’intermittenza della mia esistenza.

Posso essere questa ma sono anche un’altra: ho bisogno di evasione, di serene sospensioni, di musica dentro, di poesia ovunque io lasci traccia. Non do forma alle cose ma faccio caso agli occhi che guardano: il mondo, i giorni, le parole, le scritte, gli abbracci che vorrebbero esplodere.

A piccoli passi, a piccole dosi, cambiare.

Non sono più quella di prima, ma non sono già più quella di adesso.

E no, non mi fa paura: respira.

-M-

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