Avere una passione non conta niente, non ha mai contato niente. Il mondo ti fa credere che serva a qualcosa, che l’ambizione sia necessaria ai fini del raggiungimento della serenità: cazzate. Questo mondo non se ne fa niente della tua ambizione, non se ne fa niente dei tuoi sogni, della tua caparbietà, di quella instancabile voglia di sentirti utile. La passione è illusione, il sogno si distrugge, la laurea diventa una barchetta galleggiante su un mare di sale. Si scioglie, si sgretola, diventa anch’essa mare: di illusioni, di false speranze, di pregiudizi, di contratti fittizi, di qualcosa che non c’è.
Le passioni ti fanno respirare così intensamente da farti assaporare la vita senza fare fatica. Ti guidano, fanno luce su una strada buia da percorrere a tentoni. Avere una passione serve solo a te, al tuo benessere, al tuo ossigeno, alle tue ossa, alla tua vista, al tuo cuore che pulsa.
Delle tue passioni, in questo mondo, non puoi e non riesci a sopravvivere. Ti distruggi a pensarlo, ti stanchi il cervello, ti appesantisci i giorni, perdi tempo prezioso. Il mondo se ne frega della luce che porti dentro e che invano cerchi di fare capire. La tua passione non ti fa fare fatica, non la senti addosso, ti piace, ti fa sentire viva: gli altri non se ne accorgono.
Produrre, produrre, produrre, senza ascoltare l’anima. Produci, scrivi, produci, metti immagini, usa min. 500 parole, le virgole, i due punti, le pause, i pixel, le parole chiave: produci. Chissenefrega di quello che pensi, di come ragioni, di quelli che sono i tuoi valori, del rumore che fa la tua voce, di quello che vorrebbe fare ma si nasconde dietro uno schermo, una tastiera, un “grazie” svuotato del suo senso più puro.
Avere una passione in Italia non serve a niente: la retorica del «Se vuoi, puoi» è la presa in giro più potente che ci sia. Io vorrei ma non posso e non posso perché il sistema del lavoro non mi permette di portare avanti la mia passione dignitosamente, perché le mie lauree nessuno le capisce, nessuno le ascolta, perché il lato umano nessuno più lo nota, basta che tu produca e acconsenta.
Scrivere è diventata la guerra al ribasso, la corsa a chi accetta per primo condizioni disumane e inaccettabili. «Conosco aziende che pagano a click…», «Io scrivo gratis solo perché compare il mio nome», «A me pagavano 1,50 € al pezzo», «Io ho attive 7 collaborazioni per riuscire ad arrivare a uno stipendio QUASI pieno».
Dove siamo, esattamente? Che mondo stiamo abitando? È questo che significa avere una passione? È così che funziona?
La mia passione è ridotta all’osso, si assottiglia ogni giorno sempre di più a causa di un meccanismo che non riesce a capirla e che se ne frega: produci.
Lavori di serie A, lavori di serie B, lavori che non sono considerati tali. Una corsa verso la serenità, una corsa verso un equilibrio, un mondo che esiste solo nei sogni: produci.
Una volta mi è stato chiesto se io fossi disposta a trasferirmi in un’altra città per lavoro. Risposi che sì, lo avrei fatto se il lavoro me lo avesse permesso e se davvero ne sarebbe valsa la pena.
«Quindi se tu trovassi un lavoro che ti piace in un’altra città, ma per riuscire a essere economicamente indipendente tu dovessi fare la cameriera la sera, non accetteresti?»
Rileggi la domanda.
È così che funziona: la tua passione si trasforma in un sacrificio obbligatorio imposto che ti porterà inevitabilmente a escluderti dalla vita sociale. Fare per forza due lavori perché “quello che ti piace” (e che probabilmente ti tiene occupata 8 ore al giorno su una sedia) non ti consente di essere indipendente = non puoi pagarti affitto, bollette, cibo etc., e dunque ti costringe a fare un secondo lavoro, magari la sera, magari i week-end, togliendoti la possibilità di vivere un po’ solo per te stessa. Così funziona: produci, sacrificati, togliti dalla testa sfizi, desideri, momenti di ozio, è così che funziona se vuoi fare capire di tenere davvero al lavoro che ami.
Io lo capisco il senso del sacrificio, lo comprendo e l’ho vissuto. Mi sono adattata a nuovi contesti perché ne avevo bisogno. L’ho scelto io, non mi è stato imposto e il suono dell’imposizione ha un ritmo differente. Mi sono buttata in lavori nuovi a me estranei perché ne ho sentito il bisogno: mi sono divertita? Sì. Lo rifarei? Altre cento volte. Non era il mio, ma l’ho fatto. Sebbene sapessi sarebbe stata una situazione provvisoria, l’ho fatto, l’ho scelto, mi sono adattata perché in quel momento era quello di cui avevo bisogno. Sacrificatevi se lo ritenete necessario, ma non lasciate che siano le persone, i contesti e le aziende incapaci di pagare in modo degno a farlo per voi. MAI.
Il meccanismo del sacrificio obbligato e obbligatorio è deleterio e porta inevitabilmente a cortocircuiti psicologici devastanti. Sacrificio è scelta, sacrificio è momento, periodo, necessità di vita che solo tu, persona abitante del tuo piccolo mondo, hai il potere di fare tuo, oppure no.
Eppure, se non ti ammazzi di lavoro ogni santo giorno, se non fai vedere che sei disposta a tutto per quel lavoro, sei una nullafacente: produci.
Chi ha detto che è così che deve andare? Chi dice che ammalarsi di lavoro sia la dimostrazione che tu, a quel lavoro, ci tieni davvero? Com’è che siamo arrivati a questo assurdo assunto?
Ormai funziona così: se non arrivi a bruciarti il benessere, significa che tu quella cosa non te la meriti.
Se non ti sta più bene essere freelance a 500 euro al mese, senza possibilità di farti sentire, il problema è tuo.
Se senti il bisogno di cambiare perché non ti senti appagata economicamente e “pretendi” di più, sei prepotente e arrogante.
Sacrificati fino a ridurti in briciole, così sì che sarai apprezzata veramente e avrai dato un senso alla tua caparbietà. Bruciati, ammalati, accetta ogni piccolo centesimo senza aprire bocca: produci.
Mi pento di avere una passione, mi pento esageratamente di sentire di sapere fare solo una cosa senza peso, di non fare fatica nonostante i tempi stretti, nonostante gli occhi che si incrociano, nonostante la fatica mentale di mettere insieme concetti coerenti in italiano. Mi pento, mi pento amaramente. Vorrei essere nata vuota, vorrei essere nata apatica, cinica, meccanicamente disumana.
Questo non è il mondo che fa per me, che fa per noi, che con le passioni cerchiamo di salvarci ogni giorno.
Con la mia passione io sono cresciuta, ci ho fatto delle litigate interne incredibili, ho sudato davanti allo schermo con 30 gradi, ho urlato quando saltava la corrente, ho pianto davanti a una nuova poesia, l’unica arma che mi resta.
Avere una passione non ti farà vivere, la scrittura non ti porterà sulla terraferma: un giorno un’onda, il giorno dopo una tempesta, una settimana dopo la devastazione, poi la quiete…apparente.
La mia passione non vale 1,50 €, non ne vale 3,00 €, non vale un click, non vale tot centesimi a visualizzazione: la mia passione merita molto di più, ma non in questo mondo. Non accetto di correre al ribasso, non accetto offerte di lavoro gratuite, non posso accettare di fare volontariato.
Non così, non in questo modo, non per un sistema tossico che ti porta a sentirti sbagliata, incompleta, sempre e comunque. Non basta un titolo, non ne bastano due, non basta mai: produci.
La mia passione può solo rimanere tale, incompresa e derisa, messa da parte. Chiunque può scrivere, chiunque può produrre, chiunque può superarti, chiunque non vede l’ora di calpestarti per 2,50 € al pezzo.
«Eh ma è così che funziona purtroppo»
Tutti si arrendono, tutti si fermano, tutti assecondano senza fare una piega. Che cosa siamo diventati? Cani che si mordono la coda, criceti sulla ruota, macchine senz’anima.
Io me la porto addosso, la mia passione, ma non permetterò mai a nessuno di abbassarla e denigrarla.
La soluzione sembrerebbe abbandonare il sogno, abbandonare le lauree, abbandonare le esperienze fatte e, presa coscienza che qui non servi a niente, cambiare strada. Vi sembra giusto? Che ognuno risponda per sé.
Io non sono il mio lavoro, ma la mia passione non vi merita e non vi meriterà mai.
Peró come anche tu dicevi, la passione é quella che ti permette di andare avanti no? Credo che tutti noi dovremmo fare un lavoro che ci piace e nonostante sia d’accordo quasi su tutto con te penso che il „volere é potere“ esista ancora e nonostante una società dai valori al contrario credo ci si debba provare sempre nella vita (e anche lamentandosi meno.) Per me comunque la passione é tutto, é il sentimento con cui filtro la realtà, che mi permette di viverla.
Un caro saluto
Alessandro
Sono d’accordo su tutto, tant’è che io sono una di quelle persone che letteralmente ODIA lamentarsi e cerca di non farlo mai.
Questo sfogo è stato scritto mesi fa e pubblicato solo da poco, ma era il risultato di una consapevolezza maturata dopo un’esperienza negativa. Di fatto, però, sono la prima a ritenere la passione un elemento fondamentale della vita. Senza, personalmente, sarei persa.
Grazie Alessandro della condivisione,
sei stato prezioso!
Marta